Pubblichiamo la traduzione di un editoriale uscito su Lancet “50 years of SSRIs: weighing benefits and harms“, disponibile in versione originale qui .
Si tratta del commento di The Lancet al libro di Joanna Moncrieff’s Chemichal Imbalanced : fare e disfare il mito della serotonina. Il libro riprende una ricca letteratura di carattere scientifico e divulgativo relativo all’utilizzo degli antidepressivi e alcune riflessioni ampiamente analizzate in letteratura scientifica o in libri come Evidence-biased Antidepressant Prescription- Overmedicalisation, Flawed Research, and Conflicts of Interest.
Questa recensione non respinge le argomentazioni del testo. Tenta piuttosto, talvolta in maniera critica, di dialogarvi, sottolineando tuttavia l’urgenza di affrontare in maniera più concreta ed estesa temi come l’efficacia, l’interruzione dei trattamenti, l’ipermedicalizzazione e la pletora di bisogni non soddisfatti dai servizi di salute mentale a livello globale.
Segnala un punto cruciale: la disponibilità a rimettere in discussione assunti consolidati nella psichiatria, come pratica e come scienza. Tutto questo è possibile solo grazie all’impegno di attivisti, ricercatori e persone con esperienza diretta che continuano a sollevare tali questioni nonostante le critiche e le difficoltà a dare avvio a processi e progetti di cambiamento sostanziale.
“Sono passati più di 50 anni dalla scoperta della fluoxetina, meglio conosciuta con il nome commerciale di Prozac. Insieme allo sviluppo di altri composti, noti collettivamente come inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), la fluoxetina ha trasformato il trattamento della depressione e di altri disturbi psichiatrici associati. Gli SSRI erano meglio tollerati rispetto ai più vecchi antidepressivi triciclici e una settimana di trattamento non era letale in caso di sovradosaggio. Si stima che nel 2021 ci siano stati 332 milioni di casi di disturbo depressivo maggiore. Per molte persone, gli SSRI si sono rivelati di grande aiuto nella gestione della propria salute e continuano a rappresentare un elemento importante nella cura.
Tuttavia, l’uso degli SSRI non è stato esente da controversie e critiche. Nel 2004, la FDA (Food and Drug Administration) ha emesso un “black box warning” in merito a un possibile aumento del rischio di suicidio nei giovani adulti che assumevano un SSRI. Oggi è ampiamente riconosciuto che gli SSRI possono causare una sindrome da astinenza prolungata, rendendo necessaria una sospensione graduale del farmaco. The Lancet segnala che le segnalazioni di effetti avversi gravi—specificamente di tendenze suicide—stanno spingendo l’Agenzia britannica per i medicinali e i prodotti sanitari (MHRA) a rivedere le linee guida di prescrizione e le informazioni destinate ai pazienti.
Nel suo libro Chemically Imbalanced, Joanna Moncrieff, professoressa di Psichiatria Critica e Sociale presso lo University College di Londra, sintetizza tre questioni chiave sull’uso degli SSRI.
Primo, sull’efficacia: Moncrieff cita una meta-analisi del 2002 che concludeva che gli effetti degli SSRI rispetto al placebo erano clinicamente trascurabili. Tuttavia, altri studi hanno dimostrato una certa efficacia, inclusa una meta-analisi del 2018 pubblicata su The Lancet, che ha concluso che tutti gli antidepressivi sono più efficaci del placebo negli adulti con diagnosi di disturbo depressivo maggiore, con odds ratio compresi tra 2,23 e 1,37.
Secondo, Moncrieff analizza la cosiddetta ipotesi della serotonina nella depressione. Nel 1975, Wong e colleghi riportarono che la fluoxetina aumentava i livelli di serotonina nel cervello dei ratti bloccandone la ricaptazione nella sinapsi. Tuttavia, Moncrieff sostiene che manchi una prova inequivocabile che la depressione sia causata da una bassa concentrazione o ridotta attività della serotonina nel cervello. Alcuni psichiatri sostengono che non sia fondamentale delineare un meccanismo d’azione chiaro, purché il trattamento sia efficace. Tuttavia, l’esplorazione della fisiopatologia della depressione continuerà a generare vivaci scambi scientifici.
Terzo, Moncrieff commenta la “medicalizzazione strisciante di un numero sempre maggiore di problemi della vita”. Indubbiamente, c’è stata una crescente tendenza a medicalizzare la sofferenza o l’infelicità, insieme ad altri aspetti della condizione umana, come la preoccupazione, i comportamenti problematici e il lutto. Uno studio longitudinale in Nuova Zelanda ha riportato che il 35% delle persone tra gli 11 e i 15 anni soddisfaceva i criteri per un disturbo mentale, percentuale che saliva al 44% all’età di 45 anni. Ma questo dato rappresenta un reale aumento della sofferenza mentale o riflette un cambiamento nei criteri diagnostici?
Inoltre, il bisogno di una soluzione rapida contribuisce senza dubbio alla sovraprescrizione e all’uso inappropriato dei farmaci. Le ultime linee guida NICE raccomandano che gli antidepressivi non vengano offerti come trattamento di prima linea nei casi di depressione lieve, a meno che non sia la preferenza del paziente—la prima opzione dovrebbe essere un supporto psicologico guidato. Per i casi di depressione più grave, il trattamento di prima linea dovrebbe essere una terapia cognitiva individuale combinata con un antidepressivo. Tuttavia, la disponibilità e l’accesso a servizi psichiatrici non farmacologici è irregolare per molti e inesistente per altri, i finanziamenti sono insufficienti, e molti medici di base sono a corto di tempo e di alternative. Una pillola, si pensa, è meglio di niente. Ma il risultato è che per troppi pazienti gli antidepressivi vengono usati con facilità, mentre c’è poco tentativo di esaminare e affrontare i fattori psicosociali sottostanti. Un’analisi pubblicata su The Lancet Psychiatry stima che solo il 9,1% delle donne e il 7,2% degli uomini nel mondo con diagnosi di disturbo depressivo maggiore riceva un trattamento minimamente adeguato (definito come farmacoterapia o psicoterapia).
Queste argomentazioni sugli SSRI sono fortemente controverse e molti non sono d’accordo, in tutto o in parte. Certamente, i pazienti non dovrebbero interrompere l’assunzione di SSRI né i medici smettere di prescriverli. Ma, a 50 anni da quelle scoperte farmaceutiche che hanno generato così tante speranze, siamo ancora lontani dal fornire il livello di cura di cui molte persone hanno bisogno—un bisogno che continua a richiedere l’attenzione delle comunità scientifica e medica.”

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