Abbiamo chiesto a Copilot di guidarci nella lettura del Nuovo Piano di Prevenzione con un’attenzione particolare alla deprescrizione. Ecco cosa ne è venuto fuori.

Il nuovo Piano Nazionale 2025-2030 prova a riformare l’assistenza psichiatrica in Italia, riconoscendone le carenze e promuovendo la centralità della persona. Ma una parola non compare mai: “deprescrizione”. Una scelta comunicativa che lascia aperti molti interrogativi.

🔍 Un Piano coraggioso, ma incompleto

Il documento, frutto del lavoro del Tavolo tecnico per la salute mentale istituito nel 2023, prende atto di una situazione grave:

“I dati pubblicati nel 2023 dal Sistema Informativo per la Salute Mentale del Ministero della Salute (SISM) sono particolarmente allarmanti e testimoniano un grande divario tra domanda, bisogni e offerta.”

Il Piano propone quindi una riforma basata su:

  • appropriatezza dei trattamenti;
  • integrazione sociosanitaria;
  • lotta allo stigma;
  • valorizzazione dell’ambiente di vita e dei determinanti sociali;
  • percorsi personalizzati e multidisciplinari.

Tutto in coerenza con gli standard internazionali dell’OMS e della Commissione Europea.

💊 La deprescrizione c’è… ma non si vede

In nessuna sezione del Piano, né nella tabella delle azioni operative, compare il termine “deprescrizione”. Eppure, il documento riconosce che molte terapie farmacologiche non sono sempre appropriate:

“[…] la qualità e l’appropriatezza dei trattamenti, basati su evidenze scientifiche (Evidence Based Medicine), il rispetto della dignità e dei valori umani (Value Based Medicine)…”

Inoltre, viene esplicitata la necessità di:

“[…] percorsi terapeutici personalizzati, continuità delle cure, inclusione sociale, autonomia e qualità di vita.”

Tutto ciò implica una rivalutazione periodica delle terapie, compresa la possibilità di sospensione o riduzione. Eppure, queste azioni non vengono mai nominate direttamente, né descritte come pratica clinica strutturata.

✏️ Due nodi critici

1️⃣ Silenzio operativo. Pur riconoscendo l’inappropriatezza diffusa, il Piano non fornisce indicazioni concrete sulle pratiche correttive. Parlare di “uso consapevole dei farmaci” è importante, ma insufficiente se non si afferma chiaramente che, in certi casi, ridurre o sospendere le terapie è necessario.

2️⃣ Ambiguità culturale. La mancata menzione della deprescrizione rischia di rafforzare la centralità del farmaco come presidio terapeutico assoluto. Questo può rallentare la transizione verso cure più flessibili, orientate alla qualità della vita e già validate in ambito internazionale.

🧩 Una scelta strategica? Riflessioni sulla struttura del Piano

La composizione del Tavolo tecnico e dei soggetti consultati spiega in parte questa omissione. Il documento è stato redatto e approvato con il contributo di direttori di Dipartimento, società scientifiche, enti regolatori, istituzioni ministeriali — con un coinvolgimento limitato delle associazioni di utenti.

“Tenuto conto che per l’elaborazione del suddetto Piano […] ha coinvolto esperti, professionisti e Associazioni e soggetti auditi su richiesta.”

Tale struttura, pur ricca di competenze, potrebbe aver portato a una comunicazione prudente, evitando termini controversi come deprescrizione, che avrebbero potuto generare attriti nei servizi dove il trattamento farmacologico è dominante.

📣 Per una salute mentale che parli chiaramente

La deprescrizione non è un tabù, ma una pratica clinica basata su evidenze, orientata alla sicurezza e al benessere. Il Piano apre spazi di innovazione, ma lascia agli operatori la responsabilità di decifrare e implementare ciò che non è scritto.

Serve più coraggio, anche nelle parole. Perché ciò che non si dice conta quanto ciò che si scrive.



E se lo dice Copilot…

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