La fabbrica della cura mentale. Diario di uno psichiatra riluttante (Piero Cipriano, 2013)

Piero Cipriano è un medico psichiatra, psicoterapeuta, che ama definirsi psichiatra riluttante, in senso critico ed eretico, perché rifiuta di utilizzare le tecniche dei suoi colleghi psichiatri e, attraverso i suoi libri, ha scoperto di non essere il solo.

Trent’anni dopo l’approvazione della legge 180 e la rivoluzione basagliana, che determinava la fine dei manicomi, Cipriano racconta cos’è oggi un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Se il manicomio ricordava un campo di concentramento, scrive, il SPDC ricorda una fabbrica, in cui lo psichiatra è il tecnico specializzato alla catena di montaggio umana e il malato la macchina biologica da aggiustare, non con la parola, non con la relazione, ma con il farmaco.

Il paziente attraversa un percorso automatizzato come fosse un oggetto: dal ricovero e al necessario adeguarsi alle regole del reparto; alla Casa di Cura Convenzionata a “far ricchi gli imprenditori della follia”; alla presa in carico dal CSM territoriale, a cui è il paziente che deve rivolgersi; quando il “paziente addomesticato si inselvatichisce” lascia il servizio, fino a che non si ripresenta la crisi acuta e torna in SPDC a ripetere l’iter della catena di montaggio.

Il paziente non ha bisogno solo di molecole, sostiene l’autore, ma di una casa, di un lavoro, di relazioni. E la spia del funzionamento è proprio il SPDC: più è morbido il Servizio e più il territorio funziona bene. Le tecniche di contenimento e di potere utilizzate ricordando più quelle di un poliziotto che non quelle di un curante.

Cipriano denuncia questo nuovo immenso manicomio chimico che recluta i sani. Tristezza e lutti, rabbia e timidezza, disattenzione ed effervescenza: per ogni emozione forte, per ogni emozione che non si risolve o si manifesta secondo alcuni dettami sociali, c’è la pillola giusta. Questo altro non è che un modo di creare malati da inserite nella fabbrica della cura mentale.

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