Parlare di psicofarmaci è cruciale. Farlo nel modo giusto, libero da pregiudizi, fondamentale quanto difficile. La posta in gioco è non solo la salute mentale e fisica di tutte e tutti ma anche quella dei servizi sanitari.

Il numero crescente di persone che ricorre all’uso di psicofarmaci, l’aumento dei consumi, le attuali modalità di prescrizione e consumo, e la natura delle informazioni più facilmente disponibili, frutto di posizioni spesso polarizzate (pro o contro) e influenzate dall’enfasi posta sull’auspicato aumento di accessibilità a cure e trattamenti, che elude aspetti imprescindibili quali qualità, appropriatezza ed efficacia dei reali percorsi di cura, rendono comunicazione e discorsi su uso, consumo e prescrizioni degli psicofarmaci un tassello fondamentale per la promozione della salute collettiva.

In particolare, “comunicazione per la salute”, “comunicazione del rischio” e ’”alfabetizzazione sanitaria” costituiscono strategie e azioni proprie dell’armamentario metodologico, operativo e concettuale nell’ambito della promozione della salute, in senso stretto. Questi interventi sono finalizzati tanto alla “costruzione della competenze” di individui e comunità quanto alla loro mobilitazione verso la costruzione di ambienti, anche sanitari, favorevoli alla salute che rispondano ai bisogni dei cittadini senza infliggere danni evitabili.

Tuttavia, questo tipo di “comunicazione per la salute”, istituzionale, che diffonde, all’interno di piani e politiche, dall’alto informazioni dirette ai cittadini, può non essere sempre tempestiva. Ad esempio, la risposta fornita attraverso campagne pubbliche di comunicazione e sensibilizzazione, anche su larga scala, da Stato e Regioni al problema dell’antibiotico-resistenza, per quanto lodevole, potrebbe essere tardiva per essere efficace.
Inoltre, oltre all’influenza della scarsità di risorse nella definizione delle priorità delle politiche sanitarie di prevenzione e promozione della salute, che può essere alla base della scarsa tempesitività di alcune campagne che rischiano di muoversi rincorrendo l’emergenza, tali campagne di comunicazione per la salute possono di fatto rappresentare un’indiretta ammissione di responsabilità rispetto ai danni prodotti e alle condizioni che li hanno generati. Riprendendo l’esempio dell’antibiotico-resistenza, solo recentemente le istituzioni stanno tentando di coinvolgere e sensibilizzare cittadini e operatori per promuovere l’uso appropriato di un farmaco prescritto dagli operatori sanitari e consumato da tutte e tutti, inappropriatamente, per decenni. Si tratta, in questo caso, di fermare o rallentare un treno in corsa agendo sulla base delle conseguenze di ciò che, per anni, è stato proposto e imposto. Il problema esiste da molto tempo, ora lo inseguiamo affannosamente, cercando di sradicare le abitudini, ormai sedimentate, che lo hanno determinato.

Se la comunicazione istituzionale risente, inevitabilmente, della scarsità di risorse, delle tempistiche e delle priorità delle istituzioni, nella vita quotidiana, gli scambi informali e i discorsi sulla salute, tra pari, all’interno della comunità, possono svolgere un’importantissima funzione di promozione della salute. Basti pensare al valore preventivo sui comportamenti sessuali delle chiacchiere tra adolescenti o del confronto tra pari sul consumo di sostanze. In questi casi, anche in assenza di una comunicazione istituzionale sulla salute e i rischi, il confronto può diventare luogo tanto di caldo conforto quanto di scambio di informazioni preziose, elementi entrambe fondamentali per benessere e salute, costituendosi come autentico spazio di reciproca alfabetizzazione sanitaria e costruzione delle competenze tra pari, oltre che motore per la mobilitazione collettiva.  

I discorsi tra pari, al di là della funzione informativa, possono inoltre promuovere la percezione di problemi vissuti e talvolta poco riconosciuti.
Nel caso dell’uso degli psicofarmaci, ad esempio, le evidenze scientifiche disponibili evidenziano con chiarezza i danni di un uso eccessivamente prolungato per molte classi di farmaci che pure continuano ad essere così prescritti. Esiste un divario immenso tra ciò che si sa dovrebbe essere fatto e ciò che, nella realtà quotidiana, accade e attraversiamo. Nella vita quotidiana, ci troviamo nel bel mezzo di un oceano di prescrizioni inappropriate che producono molti danni evitabili e spesso poco riconosciuti, tanto dagli operatori quanto dai cittadini. Talvolta tali danni possono essere ascritti ai motivi di salute per cui vengono assunti i farmaci pur rappresentando la conseguenza di modalità di uso poco raccomandate per quanto molto praticate. Non è raro assumere troppi psicofarmaci o per troppo tempo rispetto alle indicazioni attraverso cui ne è stato approvato l’uso (il cosiddetto utilizzo off-label)

Al di là del livello individuale, ma partendo dalla nostra personale esperienza e dall’esperienza delle persone che ci circondano, inoltre i discorsi tra pari, possono essere un potente catalizzatore per la consapevolezza sociale di determinati problemi, come sta accadendo, da qualche anno a questa parte, nel Regno Unito in relazione alle prescrizioni e al consumo inappropriato, e i relativi danni, degli antidepressivi, testimoniato, ad esempio, da un appello di esperti, politici e rappresentanti di pazienti al governo britannico. In questo caso, la consapevolezza sociale del tema, anche promossa dal potere delle testimonianze di chi ha scelto un percorso di deprescrizione (non sempre attraverso il supporto esclusivo da parte degli operatori sanitari), sta instaurando un circolo virtuoso che sta introducendo elementi di discontinuità nell’offerta del servizio sanitario pubblico orientandolo maggiormente verso i nuovi bisogni dei cittadini a cui è possibile rispondere solo attraverso un cambiamento della componente formativa delle professioni sanitarie.

Ma ritornando al tema degli psicofarmaci, se il confronto sul profilo rischio/beneficio degli psicofarmaci non può che fondarsi sulle numerosissime evidenze disponibili, anche i discorsi, ben diversi, sul loro uso quotidiano devono essere sufficientemente informati e possono incontrare ostacoli, di varia natura. Dal punto di vista della conoscenza, il bugiardino informativo fornisce una preziosa fonte di informazioni e orientamento a nostra disposizione. Esistono inoltre alcuni libri divulgativi che offrono informazioni accurate e basate sulle più recenti evidenze scientifiche, come ad esempio Kit di Sopravvivenza per la Salute Mentale di Peter C. Gøtzsche. 

Tuttavia, le informazioni, nei discorsi sull’uso, personale e collettivo, degli psicofarmaci e sull’appropriatezza prescrittiva, sono solo uno degli aspetti in gioco. Tali discorsi si giocano, sempre, all’interno di specifiche dinamiche relazionali e di contingenti momenti storici e non sempre una corretta informazione porta ai risultati sperati. Ad esempio, i discorsi possono essere giudicanti o essere percepiti come tali.
Occorre quindi cautela e sangue freddo: un conto è affrontare il problema, sociale, del sovrautilizzo e delle prescrizioni appropriate, dei loro rischi e danni. Un altro, ben diverso, è giudicare le persone per le proprie scelte. Un terzo ancora, molto rilevante, è che le persone possano sentirsi personalmente giudicate affrontando questo tema.

Si tratta di differenze sostanziali, ancor più alla luce dello stigma e della discriminazione che avvolge le persone che soffrono di disagio mentale e che attraversano i servizi ma sarebbe terribilmente nocivo se il fatto che durante un confronto su questo tema qualcuno possa giudicare, qualcuno sentirsi giudicato, e possano attivarsi dinamiche di stigma, portasse all’impossibilità di un confronto rispetto alle attuali pratiche prescrittive e di uso o depotenziasse le argomentazioni di chi solleva dubbi e criticità fondate.

Il fatto che durante discorsi sull’appropriatezza prescrittiva e sulle modalità di consumo possano attivarsi dinamiche accusatorie e giudicanti ha portato all’emersione del concetto di Pills Shaming, ovvero il fenomeno in cui le persone criticano o giudicano coloro che assumono farmaci e, nel nostro caso, psicofarmaci per migliorare la propria salute.
Il termine ha un retrogusto noto, riprendendo il biasimo per le condizioni fisiche, il cosiddetto  “Body Shaming”. Il termine Pills Shaming si è diffuso dopo un appello della BBC per limitarlo, nel tentativo di superare lo stigma che ancora avvolge le persone che vogliono sentirsi libere di assumere farmaci o che sono nelle condizioni di doverlo fare. Tuttavia, alcuni attivisti per la salute, alle accuse di Pills Shaming, rispondono con fermezzaWe’re not pill shaming you. We’re just sick of watching people fucking die”(“”Non ti stiamo facendo vergognare della pillola. Siamo solo stufi di vedere la gente morire, cazzo”).


Inoltre, in questo particolare momento storico, la rilevanza attribuita al nostro sentire e la difficoltà che è possibile incontrare nella costruzione e adozione di un orizzonte di senso e azione condiviso, è facile conduca a spostare sul livello personale ed individuale osservazioni e discussioni che, almeno nelle intenzioni, si giocavano su un altro terreno, si riferivano ad un altro livello. Ad esempio, non è impossibile che se, tra due persone che assumono psicofarmaci, una apre una parentesi sul fenomeno dell’uso inappropriato, l’altra possa sentirsi giudicata anche in assenza di un’intenzione giudicante del primo.

Naturalmente il Pills shaming può avere conseguenze negative sulla salute mentale, su ciò che oggi viene chiamato  “benessere emotivo” e se il nostro obiettivo è quello di confrontarci per il bene della salute delle persone, tatto e sensibilità, sono indispensabili. Tuttavia, anche le prescrizioni inappropriate, ovvero le situazioni in cui i medici prescrivono farmaci in modo errato o eccessivo, non necessari, a dosi troppo alte o per un periodo troppo prolungato, sono profondamente nocive per la salute fisica e mentale, così come l’uso inappropriato. E continuano a mietere vittime, spesso inconsapevoli. Se il Pills shaming non è ancora probabilmente un problema di salute pubblica, molti esperti convengono nell’identificare nell’inappropriatezza di uso e prescrizione e nel sovrautilizzo di alcune classi di farmaci un problema di salute pubblica, molto urgente, da affrontare fermamente, per quanto poco e lentamente si stia attualmente facendo.

In salute mentale, o meglio, nei servizi sanitari, psichiatrici e non, e a tutti i livelli, l’inappropriatezza prescrittiva può essere intimamente connessa allo stigma nei confronti delle persone con problemi di salute mentale e alla mancanza di speranza nella possibilità di una possibile guarigione. E’ infatti noto il ruolo dei servizi sanitari nella riproduzione e mantenimento dello stigma. Qui, l’inappropriatezza prescrittiva può essere inoltre pienamente concepita come una mancanza di una lucida, benevola attenzione e cura nei confronti delle persone, come mancanza di fiducia da parte degli operatori nei confronti dei cittadini che si trasforma in mancanza di fiducia di questi in se stessi, nelle proprie capacità, nelle proprie risorse, una fiducia necessaria per qualunque percorso di recovery, guarigione e riabilitazione. Trattamenti, servizi e cure caratterizzate da un elevato grado di inappropriatezza non sono rispettosi nei confronti di chi le riceve, nè dignitosi, soprattutto se mancanti di un consenso realmente informato e di processi decisionali condivisi, che contemplino il punto di vista dei cittadini. Il diritto ad una vita in salute non è separabile dal diritto a sistemi e paradigmi di cura adeguati, dignitosi e, in sintesi, in salute.
Nè si tratta di un trattamento rispettoso nei propri confronti se ce lo si infligge, magari inconsapevolmente.

Non possiamo affrontare alcun discorso in modo esclusivamente ideologico, così come accade, troppo spesso, legittimando l’esistente. Una visione critica, capace cioè di cogliere le criticità, è necessaria al miglioramento, al cambiamento; le modalità prevalenti di cura hanno bisogno di una grande critica. Ce lo dobbiamo. Lo dobbiamo ai dispositivi di cura, è un contributo fondamentale per il loro miglioramento. Può essere pericoloso rivendicare sempre e solo maggiori investimenti e maggiore accessibilità per servizi che funzionano male erogando trattamenti di bassa qualità, poco dignitosi, efficaci ed appropriati.


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