Non è un mistero né tanto meno una novità che una certa rigidità del modo di intendere la clinica e il setting terapeutico contribuiscano a creare notevoli barriere all’accesso ai servizi psicologici e psicoterapeutici, alimentando talvolta l’esclusione sociale. Ciò avviene specialmente nel libero mercato, nell’ambito del privato, dove la mancata flessibilità rispetto a tariffe, orari, cancellazioni, esigenze e necessità dell’utente, può essere fonte di importanti difficoltà per gli utenti stessi a intraprendere o mantenere un percorso personale al miglioramento delle proprie condizioni di vita. I cosiddetti bisogni psicosociali dei pazienti finiscono per essere così ridotti ad un stimolo di riflessione clinica interne durante le sedute, volto all’esplorazione di dinamiche psicologiche, senza però riuscire problematizzare le modalità con cui dispositivo clinico (Foucault, 1976) viene impostato. Tali bisogni, spesso di natura squisitamente sociale, non sembrano godere di un potere contrattuale sufficiente se confrontati ai bisogni psicosociali ed economici e alle motivazioni del terapeuta che finiscono per determinare le condizioni di erogazione delle sedute amplificando un senso di impotenza, umiliazione e mortificazione nel paziente. Questo rapporto non rappresenta che la riproduzione dei meccanismi di potere e di dominio che trovano spesso nella clinica psicologica un alleato connivente poco disposto a metterli in discussione e interrogarli nel momento in cui la definizione del contratto terapeutico è viziata da evidenti disuguaglianze di potere.
Come lucidamente afferma Saraceno (2017) non è più sufficiente essere consapevoli, sul piano teorico, del ruolo che i determinanti sociali della salute mentale e le disuguaglianze esercitano nell’etiopatogenesi della sofferenza, tale conoscenza deve trasformarsi in un cambiamento reale dei modelli operativi.
Come Sportello TiAscolto, abbiamo fatto dell’accessibilità-uno dei principali determinanti sociali attraverso cui la salute viene distribuita in maniera disuguale lungo un gradiente sociale all’interno della società-un punto fondamentale del nostro operato, finalizzato proprio all’abbattimento di quelle barriere economiche che riproducono divisioni all’interno della società e sofferenza ingiusta ed evitabile. Ciò significa, tra le altre cose, che le condizioni del percorso psicologico o della psicoterapia sono oggetto di discussione, negoziazione e condivisione insieme agli utenti, i bisogni dei quali si incontrano con le esigenze di sostenibilità, sempre dinamiche, del servizio. Tariffe, orari, termini di cancellazione e spostamento di sedute e molte altre variabili del setting non sono calati dall’alto, frutto di una legge clinica immutabile, espressione dell’ordine delle cose, ma entrano fin dal principio nel discorso tra psicoterapeuta e paziente, al fine di dare loro un significato specifico per ogni singola situazione e in un senso più ampio di relazione con un servizio che esiste e sta in piedi solo ed esclusivamente tramite il contributo economico, sempre variabile, degli utenti.
Lo sforzo che ogni operatore dello Sportello compie per cercare di valutare, comprendere e, nei limiti del possibile, accogliere le esigenze anche di ordine pratico di ogni utente, deriva dalla convinzione – che è innanzitutto convinzione etica – che intraprendere un percorso psicologico, sia esso a breve, medio o lungo termine, preveda un forte investimento ed impegno da parte di ogni paziente. Tale investimento è ovviamente di carattere economico, ma anche di tempo, di energie emotive e cognitive, e implica la disponibilità a mettere in discussione i propri presupposti e le proprie modalità di stare al mondo, a riprendere in mano ricordi, episodi ed eventi di vita che possono essere causa di malessere, sofferenza, destabilizzazione. Pertanto, è dovere del terapeuta corrispondere a tale investimento un impegno da parte sua nel garantire le condizioni perché questo percorso possa avvenire e svilupparsi nel migliore dei modi possibili. Tali condizioni non sono garantite esclusivamente da un’adeguata formazione, dalla capacità di applicare con perizia le proprie conoscenze, dalla salvaguardia del setting di lavoro e dalla capacità di farsi ispirare costantemente da criteri di rispetto e di tatto; nella nostra visione, essa prevede anche che il clinico debba creare le condizioni pratiche per le quali chi si rivolge a lui/lei possa mantenere fede al proprio impegno senza dover fare i salti mortali per pagarlo, per incastrare le sedute, per venire incontro alle necessità del servizio o del clinico stesso.
Ciò apre necessariamente il campo a dinamiche complesse e a delle complicazioni che devono essere monitorate dal servizio e dagli operatori che in esso lavorano in modo da poter essere gestite efficacemente per la salvaguardia della qualità del proprio lavoro e in ultima analisi quella del percorso del paziente. In particolare, un approccio di questo tipo, che mira a garantire universalità ed equità nell’accesso alle cure psicologiche, può correre il rischio di scivolare in un’eccessiva accondiscendenza nei confronti delle richieste mosse al servizio, con negative quanto evitabili conseguenze quali:
- l’appesantimento del carico di lavoro del terapeuta e il conseguente calo della qualità del suo operato;
- l’accordo su condizioni eccessivamente sbilanciate in favore dell’utente laddove non ne esista un reale bisogno, con la conseguente sottrazione di disponibilità ad utenti più svantaggiati dal punto di vista sia economico che di salute;
- la collusione con alcuni aspetti individuali di alcuni utenti che invece gioverebbero di un approccio più rigoroso alla negoziazione del setting, col rischio di trasformare la volontà di accessibilità in intervento antiterapeutico e iatrogeno, a scapito della sostenibilità del servizio.
È imperativo, in altre parole, che non solo la clinica sia equa ed accessibile, ma che l‘equità e l’accessibilità abbiano innanzitutto un valore clinico. Del resto, lo Sportello TiAscolto esiste in funzione della possibilità di fornire un servizio psicologico volto al miglioramento della qualità della vita della persona e della comunità, come strumento per il contrasto alle disuguaglianze e dei pesanti effetti di queste sulla vita delle persone. Avrebbe ben poco valore, sia clinico che sociale, un intervento che per evitare di riprodurre la violenza delle dinamiche di potere , garantisca un’accesso universalitico senza produrre alcun beneficio o che, nel peggiore dei casi, rinforzi delle difficoltà esistenti, risultando iatrogeno.
Psicologia, sociologia, storia e politica concordano nell’indicare che la crescita e il percorso verso un maggior benessere possano e talvolta debbano passare attraverso momenti di dialogo, confronto, conflitto, scontro e frustrazione. Autonomia e responsabilità individuale e collettiva difficilmente fioriscono in un ambiente eccessivamente oblativo che finisce per essere depontenziante per l’individuo; a meno di non cadere in un certo assistenzialismo che ha da sempre caratterizzato entità religiose e laiche del nostro paese, con risultati a dir poco scarsi, se non controproducenti per le persone coinvolte e la società. Come già indicava ricordava Basaglia (1976) è solo passando con “l’inizio del contratto” che si rende possibile “l’avvio della reciprocità del discorso, la possibilità di opporsi”.
Pertanto, riteniamo che sia compito del terapeuta sviluppare la capacità di mettere in discussione le regole spesso ritenute inviolabili del setting in relazione all’unicità dei bisogni di ogni singolo utente; unicità che si manifesta all’interno di variabili caratteriali, psicologiche e relazionali che non possono mai essere sottratte dalle altrettanto reali e più ampie variabili sociali, economiche e culturali. Tale compito è raramente oggetto di formazione nei percorsi tradizionali di avvio alla professione psicoterapeutica, e rimane un sapere in costante divenire, un work in progress che necessita di costanti aggiustamenti e verifiche, in una continua tensione dialettica tra i bisogni dello psicoterapeuta e i bisogni dell’utenza, per evitare il rischio di esitare in quello che, Basaglia (1967) ricordava, Husserl definisce la crisi delle scienze europee riferendosi allo smarrimento del loro rapporto reale con l’uomo che le allontana dal significato primo del loro esistere.
La sfida è quindi quella di costruire un approccio consapevole, al tempo stesso flessibile e rigoroso, conscio dell’influenza dei determinanti sociali della salute mentale (WHO, 2014) e delle condizioni di svantaggio socioeconomico che interagiscono in vari modi con l’opportunità di intraprendere un percorso psicologico, ma anche di quanto le differenze e le unicità psicologiche di ogni individuo influenzino il discorso sociale ed economico che è possibile instaurare con il servizio.
Il fine ultimo di tale processo di riflessione e trasformazione è affinare sempre più un metodo che, ispirato e volto al principi di giustizia sociale, permetta di garantire l’accessibilità ad un servizio psicologico di qualità, che sappia agire in modo etico secondo scienza, coscienza e militanza nella consapevolezza che, come affermava Basaglia (1969) “l’irrecuperabilità del malato è spesso implicita nella natura del luogo che lo ospita questa natura non dipende direttamente dalla malattia: la recuperabilità ha un prezzo, spesso molto alto, ed è quindi un fatto economico- sociale più che tecnico-scientifico”
BIBLIOGRAFIA
Basaglia, 1976, Annuncio della chiusura dell’ospedale psichiatrico di Trieste
Basaglia, Franco. “Crisi istituzionale o crisi psichiatrica?.” Annali di Neurologia e Psichiatria (1967): 117.
Basaglia, Franco, and F. Basaglia. “Morire di classe.” La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin. Turin: Einaudi (1969).
Costa, G., Bassi, M., Gensini, G. F., Marra, M., Nicelli, A. L., & Zengarini, N. (2014). L’equità
nella salute in Italia. Secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità. Milano: Franco Angeli
Foucault, Michel, and Alcesti Tarchetti. Sorvegliare e punire: nascita della prigione. Torino: Einaudi, 1976.
Saraceno Benedetto. Sulla povertà della psichiatria, Derive e Approdi Edizioni, 2017
World Health Organization. Social determinants of mental health. World Health Organization, 2014. (Traduzione italiana Dors, 2017)