
A partire dal 1880 un flusso di immigrati italiani provenienti da Roseto Val Forte creò negli States una comunità chiamata, con quella che solo più tardi si rivelò una scelta oculata: Roseto. Intorno, nell’ombra dei primi grattaceli, le fabbriche perfezionavano la catena di montaggio taylorista anche e soprattutto per ridurre le interazioni necessarie in una babele di operai polacchi, tedeschi irlandesi e italiani che non parlavano la stessa lingua. Negli anni 60’ Roseto, Pennsylvania, divenne famosa perché alcuni epidemiologi scoprirono che gli abitanti della cittadina godevano di un’incidenza di malattie cardiache al di sotto della media nazionale (circa il 50%). Ci vollero alcuni anni per scoprire il motivo per cui degli immigrati di terza generazione occupati perlopiù con lavori pesanti, accaniti bevitori e fumatori, con diete basate su grassi animali dovessero avere dei cuori più sani. Sorprendente era anche il fatto che il “Roseto effect” scompariva se gli abitanti della città si trasferivano altrove. Divenne chiaro quindi che la longevità dei rosetani era dovuta alla coesione sociale che la comunità aveva mantenuto fin dai tempi dei fondatori.
Spesso i clienti dello sportello affermano di aver scelto il servizio per la sua politica del “chi più ha, più mette”. Si potrebbe pensare che alcuni di essi siano attratti dalla possibilità di pagare un onorario inferiore ai prezzi di mercato, e questo è parzialmente vero ma non spiega perché i clienti approvino e scelgano la nostra politica dei prezzi indipendentemente da quanto paghino. Capita con sempre maggior frequenza infatti che accedano al servizio anche persone che potrebbero tranquillamente usufruire di altri servizi o rivolgersi ad altri colleghi. Non è raro invece, chiedendo le motivazioni che spingono le persone a scegliere il servizio, sentire spiegazioni come “qui si fa anche del bene” da chi sembra aver interiorizzato il nostro discorso mutualistico del “chi può, paga anche per chi può meno”, puntualmente ripetuto durante la contrattazione dell’onorario tesa alla reciproca responsabilità. Ci siamo quindi chiesti se la scelta dei clienti non rifletta una verità più complessa della mera attrazione per il risparmio economico, una saggezza inconsapevole che spinge chi desidera “stare meglio” verso lo “stare insieme”.
Un insieme di clienti e i terapeuti che sostengono lo Sportello, tracciando lo spazio materiale e relazionale per una breve tregua dalle regole del mercato delle prestazioni individualizzate. Il bisogno di dare, di condividere, di sperimentare l‘unione con gli altri in un “Noi” che trascenda l’esperienza dell’isolamento dell’individuo è un elemento imprescindibile della natura umana, spesso ostacolato da strutture sociali ed economiche che plasmano attivamente il nostro modo di vivere e il nostro vissuto in una direzione opposta (Fromm, 1977). L’esistenza di servizi e pratiche che facilitino l’esperienza dello “stare insieme” ha di per sé una funzione terapeutica, sia per i pazienti che per i terapeuti. L’ipotesi è che la presenza di tali servizi possa facilitare la percezione della disponibilità di capitale sociale (Van Der Gaaga et al., 2005).
Oggi esistono diversi costrutti teorici che definiscono le variabili sociali di coesione e contatto con la propria comunità. La “belongingness” si basa sulle teorizzazioni della psicologia del Sé di Kohut (1984) e misura il grado con cui gli individui sentono di appartenere ad un gruppo che trascende se stessi, appagando bisogni fondamentali di sicurezza, autostima e autorealizzazione (Lee e Robbins, 1995). Le fa eco il costrutto di “perceived social support” (Cohen 1988; Rodriguez e Cohen, 1998) che misura il sostegno interpersonale strutturale e funzionale ricevuto dal gruppo (Krause 1995; si veda Simonelli et al., 2011 per una scala validata in italiano).
Nell’ultimo decennio lo studio dei fattori sociali di benessere degli individui ha ricevuto un crescente interesse, riproponendo l’evidenza di un’influenza importante della belongingness e del perceived social support sulla salute socio-psico-fisica. Ad esempio è stato dimostrato come esse abbiano un impatto considerevole sullo sviluppo e la guarigione di patologie organiche come quelle cardiache e immunitarie (Bucholz et al., 2014; Uchino, 2006), sul decorso del cancro (Levy et al., 1990), sulla salute emotiva dei familiari di persone con malattie degenerative (Urdaneta et al., 2008; Pasek et al., 2017) e perfino sulla motivazione scolastica (Emadpoor et al., 2016). La percezione soggettiva della mancanza di un adeguato supporto sociale è altresì un buon predittore dello sviluppo di sintomi depressivi (Petitt et al., 2011) e ansiosi (Lewis et al., 2013) e della percentuale di re-ospedalizzazione di utenti psichiatrici (Hengartner et al., 2017).
La lista (non esaustiva) evidenzia il ruolo preponderante del supporto sociale come determinante del benessere degli individui. Parallelamente, la ricerca nell’ambito della psicoterapia, promossa dall’esigenza di sviluppare tecniche ed interventi “evidence based”, ha dimostrato come anche per gli interventi di psicoterapia i predittori più affidabili dell’efficacia della terapia siano trasversali ai diversi approcci e collegati a variabili relazionali come la solidità dell’alleanza terapeutica (Ardito e Rabellino, 2011).
Date queste evidenze sorge spontaneo domandarsi se una maggiore efficacia delle cure psicologiche e una più solida alleanza terapeutica non possa e debba passare per il supporto sociale fornito attraverso il servizio stesso, il quale a sua volta non può prescindere da un modello di organizzazione e finanziamento che promuova la più ampia accessibilità possibile. Al contrario in Italia, gli interventi di psicologia clinica sono prioritariamente definiti dalle dinamiche di mercato, che ne regolano l’accesso e la diffusione senza tener conto delle profonde disuguaglianze sociali ed economiche all’interno della società. Rimanendo cieca rispetto alle dinamiche socio-economiche la pratica clinica rischia di perpetuare ed alimentare le disuguaglianze e l’isolamento sociale e parallelamente di limitare la propria efficacia. Le regole del mercato libero sembrano infatti costituire il limite sacro ed inviolabile oltre il quale non può espandersi la solidarietà (o l‘alleanza) tra cliente e terapeuta. Un tabù che percepiamo noi stessi nell’imbarazzo che sentiamo in noi e nei clienti nel momento della contrattazione della “giusta” tariffa. In questa area oscura esistono e andrebbero meglio comprese le ripercussioni cliniche dei modelli organizzativi dei servizi di sostegno psicologico. Per questo sarebbe d’aiuto l’indagine delle relazioni tra le politiche dei prezzi per l’accessibilità ai servizi di psicoterapia, la percezione del supporto che ne traggono i clienti, l’alleanza terapeutica e l’efficacia delle cure.
Riferimenti bibliografici:
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