POSITION PAPER di RSS su utilizzo esclusivo degli psicofarmaci in età evolutiva: migliorare integrazione degli interventi e consolidare il modello italiano.
La Rete Sostenibilità e Salute interviene sul delicato tema dell’utilizzo di psicofarmaci in età evolutiva in Italia, esaminando lo scenario internazionale e lanciando un appello al Ministro della Salute Speranza.
E’ possibile consulatare interamente il documento sul sito della Rete Sostenibilità e Salute, insieme all’allegato sui possibili fattori di rischio, in parte evitabili, connessi, in particolare all’ADHD.
Teniamo a sottolineare che la posizione dello Sportello TiAscolto!, così come ben evidenziato nel documento che abbiamo contribuito a produrre, non è quella di una contarietà ai farmaci ma a favore di un corretto equilibrio tra le diverse tipologie di interventi necessari e di un rigore prescrittivo che solo può essere garantito dall’utilizzo di dispostivi pubblici, come ad esempio il Registro, a tutela della salute di tutti e tutte le bambine.
Premesse di carattere generale
La somministrazione di molecole psicoattive su bambini e adolescenti può presentare potenziali criticità – di carattere clinico ed etico – su cui concorda la letteratura internazionale (1) (2), che richiamano l’attenzione degli operatori rispetto all’opportunità delle prescrizioni, ma anche alle implicazioni etiche e giuridiche che tali prescrizioni comportano. Sono oltre 15 milioni i minori in terapia farmacologica, nel mondo, per le più diverse patologie, a fronte di una preoccupante carenza di risorse per terapie non farmacologiche scientificamente validate. La comunità scientifica non è concorde (3) circa l’opportunità di somministrare prodotti psicoattivi su organismi con un sistema nervoso centrale ancora in via di sviluppo. Ciononostante il ricorso ai farmaci antidepressivi per trattare bambini e adolescenti è in crescita: in USA, Gran Bretagna, Germania, Danimarca e Olanda è aumentato del 40% negli ultimi 7 anni. Si tratta di una tendenza mondiale, come confermato da un recente studio pubblicato sullo European Journal of Neuropsychopharmacology, i cui dati dimostrano che in Gran Bretagna il numero antidepressivi prescritti ai minori è cresciuto del 54%, del 60% in Danimarca, del 49% in Germania, del 26% negli Stati Uniti e del 17% in Olanda; maggiori incrementi si sono registrati nelle fasce d’età tra 10 e 19 anni, e i farmaci più utilizzati sono quelli a base di citalopram, fluoxetina e sertralina (4). “L’uso di antidepressivi nei giovani è preoccupante – ha commentato il Dott. Shekhar Saxena, già Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze dell’OMS – una preoccupazione aggravata dal fatto che i farmaci prescritti ai giovani nella maggior parte dei casi non sono autorizzati per gli under 18”. (5) Il nostro Paese non è potenzialmente estraneo a questi preoccupanti scenari. Già nel lontano 2004, il Progetto multicentrico “Prisma” (6) individuò fino a un milione di minori italiani in fascia pediatrica potenzialmente rientranti nei criteri di classificazione per i disagi mentali proposti dal DSM IV, per le più diverse patologie, dalla depressione, alle psicosi, all’iperattività infantile.
Un esempio paradigmatico: il caso Paxil®
Le paroxetina è la molecola più prescritta – in modalità off-label – per la depressione in età adolescenziale: l’imponente revisione sistematica promossa dal British Medical Journal conferma che i dati che finora hanno giustificato la prescrizione a bambini e adolescenti di questo antidepressivo – prescritto massicciamente anche in Italia – erano stati falsati dal produttore, la multinazionale farmaceutica GSK – GlaxoSmithKline, e che questa molecola è “inefficace e pericolosa” (7). Lo studio alla base delle richieste di AIC – Autorizzazione all’Immissione in Commercio di questo farmaco, studio denominato “329”, era stato pubblicato nel lontano 2001, a firma di 22 ricercatori, e originariamente pareva confermare l’appropriatezza d’uso per questa molecola nei casi di depressione: in realtà, fu redatto da Sally K. Laden, una ghostwriter pagata dalla casa farmaceutica che aveva finanziato la ricerca allo scopo di dimostrare l’efficacia della molecola. Ci sono voluti 14 anni, e la tenacia di validi ricercatori, per ribaltare i risultati dello studio, e dimostrare che la paroxetina aumenta il rischio di suicidio per i minori che la assumono. Il tutto, nell’indifferenza delle autorità di controllo sanitario: ad esempio in Italia nessuna istituzione preposta ha assunto provvedimenti solleciti e incisivi a migliore tutela della salute dei minori, tanto che a oltre 2 anni dalla pubblicazione della revisione, nessun “warning” era stato pubblicato sui siti web delle autorità pubbliche come delle società scientifiche, né alcun comunicato era stato emesso ai mass-media, pregiudicando l’accesso all’informazione da parte della cittadinanza; l’Agenzia del Farmaco, nella fattispecie, prese posizione solo nel 2017 (8). Si consideri anche che secondo l’ultimo rapporto ESPAD il 10% dei minori italiani utilizza psicofarmaci per le più svariate motivazioni, dal miglioramento delle performance scolastiche alla gestione di depressioni passeggere etc., senza alcuna ricetta medica, acquistandoli da amici compiacenti o direttamente sul web (9)
L’iperattività infantile: una prospettiva sociale e ambientale
Analoghe preoccupazioni riguardano l’impropria somministrazione di molecole psicoattive a bambini iperattivi. Tra i principali fattori di rischio per l’insorgere di comportamenti diagnosticati come Sindrome di Iperattività e Deficit di Attenzione (“ADHD”) si trovano anche i fattori socioeconomici: bambini provenienti da famiglie con basso status socioeconomico hanno probabilità molto superiori di ricevere diagnosi di ADHD rispetto ai figli di genitori con status più elevati (10) (11), e anche la differenza della prevalenza nei gruppi con diverse fasce di reddito è significativa (12). Condizioni di deprivazione socio-economica, anche relativa, della famiglia influenzano gli stili genitoriali ed educativi, con ricadute sulla possibilità di uno sviluppo armonico dei figli, sulle capacità relazionali, cognitive e attentive, in particolare sulle funzioni esecutive, sulle capacità di regolazione dei comportamenti sui rendimenti scolastici (13) (14) (15) (16) (17). La letteratura scientifica in pedagogia e psicologia è inoltre concorde nel sottolineare come, entro certi limiti, l’irrequietezza di ogni bambino sia da intendersi non solo come disturbo individuale, ma anche come sintomo, dal valore sempre relazionale, che segnala un’interazione disfunzionale tra bimbo e ciò che lo circonda. Ne consegue la necessità di modulare il contesto, domestico o scolastico, talvolta poco responsivo e sollecito rispetto ai bisogni emotivi del minore e ai suoi tempi. È quindi quantomeno discutibile che il soggetto diagnosticato per “Disturbo di Attenzione” sia il bambino, quando l’origine di tale disattenzione potrebbe essere attribuibile a una mancanza di attenzione verso di lui o a peculiarità del contesto sociale e ambientale. Trascurare questa prospettiva significa decidere, come società, che è troppo impegnativo e costoso agire sull’ambiente in cui crescono e si sviluppano i bambini, e preferire quindi adattare i bambini “difficili” al contesto. Nel corso del tempo, si è gradualmente passati dal rischio di attribuire ai genitori la responsabilità per qualsiasi problematica espressa dai figli, a quello opposto, di catalogare come patologica ogni loro manifestazione di irrequietezza, delegando la risposta a soluzioni che rischiano di ridursi all’assunzione di un farmaco. Un approccio esclusivamente farmacologico a tali problemi nei bambini, riconducibili anche a stili genitoriali plasmati da condizioni di deprivazione sociale e materiale, costituisce un grave rischio di medicalizzazione della sofferenza e dello svantaggio sociale, già a partire dall’età evolutiva. Un ulteriore rilevante aspetto è rappresentato dal fatto che uno dei più frequenti motivi di invio alle strutture sanitarie di bambini con diagnosi di ADHD, è costituito dalle difficoltà scolastiche (18); Peter Gøtzsche evidenzia come in alcuni Paesi i tassi di diagnosi aumentino in corrispondenza della diminuzione dei finanziamenti scolastici (19). Non si può infatti trascurare il ruolo della scuola e delle condizioni di lavoro degli insegnanti in questo processo. Non è raro che questi, sovraccarichi di lavoro, sentano minacciata l’immagine di sé, la propria autostima e il proprio operato per via delle difficoltà incontrate nel contenere i comportamenti di alcuni alunni e ottenere i risultati attesi necessari per attenersi al programma didattico. A queste spinte, si possono accompagnare quelle esercitate dai genitori, rassicurati dai benefici secondari derivanti dall’attivazione di percorsi scolastici individualizzati in funzione dei bisogni dei bambini. Come sottolinea Allen Frances (20), a capo della task force del DSM-IV questo aumenterebbe il rischio di fenomeni di “inflazione diagnostica” talvolta nocivi per la salute pubblica. La medesima spinta dei genitori potrebbe in parte spiegare una quota dell’incremento delle certificazioni di alunni con DSA, attestato nell’a.s. 2010/2011 allo 0,7%, e salito – senza particolari ostacoli da parte dei molti nuovi centri privati di certificazione – fino al 2.9% nell’a.s. 2016/2017 nella media dei diversi ordini di scuola (21). La diagnosi di ADHD si basi sul comportamento dei bambini e su come essi agiscono e si rapportano a scuola con i loro coetanei e con gli adulti. I bambini più giovani della classe hanno maggiori probabilità di essere diagnosticati con ADHD (22) (23). La data di nascita ha un notevole valore predittivo rispetto alla possibilità di ricevere una diagnosi che può essere erroneamente applicata a causa della confusione sul livello dello sviluppo. La categoria diagnostica può esprimere, in questi casi, solo un’immaturità relativa dello sviluppo, in relazione al gruppo di coetanei in classe, (22) (23). Non sempre tuttavia le differenze nei rendimenti scolastici, nelle capacità attentive e comportamentali dei bambini e degli adolescenti, costituiscono evidenza dell’esistenza di una patologia, e questi risultati sollevano ulteriori preoccupazioni circa i potenziali danni di sovradiagnosi e iper-prescrizione, che comprendono effetti avversi sul sonno, sull’appetito e sulla crescita, oltre ad aumento del rischio di eventi cardiovascolari avversi (22) (23) In Italia, nella rete di Neuropsichiatria Infantile e Adolescenziale (NPIA), la limitata disponibilità del personale necessario a garantire trattamenti appropriati, anche non farmacologici, solleva grandi preoccupazioni circa la possibilità di erogare cure di qualità. I dati recentemente riportati da Starace – pur con riferimento alla Salute Mentale degli adulti – segnalano che i DSM sarebbero in grado di rispondere correttamente a solo il 56% dell’attuale fabbisogno assistenziale stimato (24), e che la riduzione delle risorse umane, concorre alla creazione di servizi nei quali prescrivere farmaci rischia di essere tra le poche – se non l’unica – opzione terapeutica disponibile (25). Questi infatti, sulla base di solide prove (27) (28) (29), affermano come il trattamento multimodale con l’intervento sul nucleo familiare debba essere considerato prioritario (18), evitando l’utilizzo esclusivo del farmaco tramite il ricorso al parent-training, soprattutto nella fascia di età dai 10 ai 13 anni, in cui si registra il maggior tasso d’incidenza (18). Nei frequenti casi di comorbidità, in cui i sintomi dell’ADHD si presentano associati altri disturbi, soprattutto della sfera emotiva, è importante integrare il trattamento con un percorso terapeutico efficace, lavorando in particolare sulle risorse dei giovani legate alla gestione delle emozioni e sullo sviluppo di risposte comportamentali alternative a vissuti negativi di ansia o di depressione.
Riflessioni sul modello italiano: un sistema di gestione di eccellenza
Il Protocollo sottolinea la necessità di effettuare con regolarità consulenze sistematiche all’intero team degli insegnanti visto che “il coinvolgimento degli insegnanti fa parte integrante ed essenziale di un percorso terapeutico per il trattamento del bambino” e che è “necessario il potenziamento delle capacità di autocontrollo emotivo degli insegnanti, prima ancora di collaborare con loro per far acquisire un maggior autocontrollo al bambino” (18). Inoltre, le differenze nella distribuzione dei soggetti ADHD in età evolutiva notificati per Regione, riportati dal Registro ADHD, indicano un’enorme divario nell’utilizzo dello strumento tra le diverse regioni italiane (in Veneto, ad esempio, seicentosettantatre notifiche, in Basilicata solo cinque) (26) È necessario salvaguardare i limiti posti al rischio di inappropriatezza e sovradiagnosi posti dal Registro nazionale ADHD e dal Protocollo diagnostico e terapeutico della sindrome da iperattività e deficit di attenzione. Le autorità possono e dovrebbero tener conto di tutti questi elementi, nelle riflessioni relative alle politiche sanitarie del Paese. Continuando a focalizzare l’attenzione su uno specifico disagio, la “Sindrome da Iperattività e Deficit di Attenzione”, il “modello italiano” per il controllo delle somministrazioni di molecole psicoattive a bambini e adolescenti troppo agitati e distratti è fin qui risultato efficace, nonostante i significativi spazi di miglioramento: a fronte di criteri più prudenziali di diagnosi e di trattamento, assai curiosamente, la “malattia” – per noi spesso una costellazione aspecifica di sintomi – presenta un’incidenza ben minore che in tutti gli altri paesi Europei. Esiste il concreto rischio derivante dell’adozione possibili strategie di “disease mongering” da parte di alcune multinazionali farmaceutiche, ovvero di artificiosa modifica dei criteri di diagnosi al fine di ampliare le opportunità di vendita per i farmaci psicoattivi, specie con riguardo ad alcune categorie di persone maggiormente a rischio di medicalizzazione (30). Il progetto ADHD – gestito per anni dall’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e sotto il coordinamento del Ministero della Salute – è ora stato informatizzato, ma è passato direttamente sotto gestione AIFA (31), tradendo così la natura tendenzialmente farmacologica dell’approccio. Il progetto – come è noto – prevede la gestione di un apposito Registro per l’iscrizione di tutti i minori in terapia, un protocollo rigido per la somministrazione dei farmaci, solo in strutture specializzate, protocollo che include moduli di consenso informato comprensibili alle famiglie, e un rigido percorso di diagnosi e presa in carico. Il costo a carico del Ministero Salute dei meccanismi di controllo istituiti per le due molecole per l’iperattività – metilfenidato e atomoxetina – e gestiti dall’ISS, è irrisorio: attualmente, secondo fonti ISS, poco più di 30.000 euro all’anno. È utile sottolineare come con un incremento di spesa assai ragionevole si potrebbe ambire a estendere questo modello – apprezzato tanto dalle Associazioni parentali di genitori con figli ADHD come anche dalle organizzazioni di volontariato socio-sanitario (32) – a un numero maggiore di patologie dell’infanzia/di farmaci utilizzate per curarle, fornendo dati utili anche per facilitare l’applicazione di criteri di appropriatezza più stringenti, anche a migliore tutela degli specialisti coinvolti nel percorso di diagnosi e cura, costantemente esposti a potenziali contestazioni. Inoltre, il vantaggio di una più appropriata e mirata somministrazione di tutti questi prodotti – potenzialmente pericolosi per effetti collaterali – si potrebbe tradurre anche in un risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale, grazie alla minore incidenza di interventi per problematiche iatrogene causate dall’assunzione di farmaci psicoattive in età evolutiva.
Alcune nostre proposte
La RSS chiede quindi ai decisori di attivare un percorso di individuazione dei migliori strumenti di tutela dei bambini e degli adolescenti, così da costruire insieme soluzioni finalizzate al riconoscimento delle componenti non puramente biologiche della condizione, all’imparziale valutazione del rapporto rischio/beneficio del trattamento farmacologico, e ad anticipare un trend generale di medicalizzazione dei minori che, influenzato anche dgli interessi commerciali, finisce per pregiudicare sia l’indipendenza di medici e specialisti, che la libertà di scelta terapeutica dei piccoli pazienti/dei loro genitori, costretti a “scelte farmacologiche obbligate”, in quasi totale assenza di opzioni alternative accessibili ed efficaci, difendendo nel contempo le peculiarità virtuose del modello italiano. Più nello specifico, riteniamo utile richiedere quanto segue: 1. creazione di un sistema informativo NPIA analogo al SISM (Sistema informativo per il monitoraggio e la tutela della salute mentale), che, sulla base di un sistema integrato centrato sul paziente, permetta di monitorare l’attività dei servizi con analisi del volume di prestazioni, di compiere valutazioni epidemiologiche sulle caratteristiche dell’utenza e sui piani di trattamento, di supportare le attività gestionali delle NPIA per valutare il grado di efficienza e di utilizzo delle risorse e di supportare la costruzione di indicatori di struttura, processo ed esito, sia a livello regionale che nazionale;
2. estensione dell’attività di monitoraggio del Registro attualmente in vigore per l’ADHD, che monitora le prescrizioni di metildenidato e atomoxetina, ad altre tipologie di farmaci prescritti ai minori, specie in modalità off-label, quali – a puro titolo di esempio – antidepressivi e antipsicotici, le cui statistiche di consumo in tutto il mondo occidentale sono documentate in significativa crescita;
3. obbligo di redazione di un report annuale pubblico sulla popolazione minorile diagnosticata e sottoposta a terapie, completo di dettagli circa la tipologia di terapie somministrate, le remissioni dei sintomi, la tipologia di terapie non farmacologiche erogate, etc. (riteniamo che le risorse attualmente allocate, veramente risibili, nonostante l’impegno profuso dalle istituzioni sanitarie, non permetta oggi la redazione di un report a nostro avviso minimamente soddisfacente);
4. necessità di modificare con urgenza la sperequazione nell’accesso alle cure, con riguardo al mancato accesso alle terapie non farmacologiche da parte di molte famiglie residenti in Regioni i cui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) non le prevedono, o in Regioni ove – pur essendo previste dai LEA – non vengono erogate per carenza/assenza di risorse, e necessità di attuazione e monitoraggio di quanto previsto nel DPCM 12 gennaio 2017 sui nuovi LEA, all’art. 25 sull’ “Assistenza sociosanitaria ai minori con disturbi in ambito neuropsichiatrico e del neurosviluppo”;
5. creazione/implementazione di strumenti adeguati per informare la cittadinanza delle risultanze finali di detti report e di altra documentazione utile per contribuire a scelte terapeutiche più consapevoli, informate, e orientate al reale benessere dei minori (ci riferiamo qui – ad esempio – al grave e sopracitato ritardo nell’intervenire sulla vicenda Paroxetina®) (7) (8);
6. avviare un percorso di confronto con le istituzioni sanitarie di altre nazioni, al fine di rendere noto e valorizzare al meglio, anche in un’ottica di utile cooperazione inter-europea, il modello di controllo adottato in Italia;
7. in ultimo, anche in relazione al possibile uso inappropriato di queste molecole in modalità di “auto-medicazione” – con riferimento al citato rapporto ESPAD – valutare una campagna nazionale di informazione/sensibilizzazione/prevenzione, per la quale i nostri esperti sono eventualmente a disposizione – a titolo del tutto gratuito – in affiancamento a quelli del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità (si rimanda in proposito anche all’All. 1, su possibili fattori di rischio per ADHD, in parte evitabili, e all’All. 2, su informazioni terapeutiche desumibili da recenti revisioni della letteratura internazionale).
Per concludere, ricordiamo che il Rapporteur delle Nazioni Unite, il Dott. Dainius Pūras, sottolinea, nel recente rapporto UN, che condizioni strutturali come povertà, discriminazione e violenza siano le cause più profonde alla radice del disagio mentale e della sofferenza a cui, “troppo spesso vengono fornite risposte individualizzate, immediate, influenzate da un paradigma esclusivamente biomedico che ignora i trattamenti alternativi, sottovaluta il ruolo della psicoterapia e di altri trattamenti psicosociali e, cosa più importante, non affronta i fattori determinanti che contribuiscono ad una cattiva salute mentale. […] La sovramedicalizzazione è particolarmente dannosa per i bambini e le tendenze globali per medicalizzare complesse questioni psicosociali e di salute pubblica nell’infanzia dovrebbero essere affrontate con più forte volontà politica” (33)
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6. Progetto PRISMA (Progetto Italiano Salute Mentale Adolescenti), indagine sulla prevalenza dei disturbi mentali in un campione di preadolescenti https://emedea.it/ufficio_stampa/files/prisma_2.pdf
7. Le Noury J, Nardo J, Healy D, Raven M, Tufanaru C, Abi-Jaoude E. Restoring Study 329: efficacy and harms of paroxetine and imipramine in treatment of major depression in adolescence. BMJ. 2015;351 doi: 10.1136/bmj.h4320. (Published 16 September 2015)
8. Fonte: http://www.agenziafarmaco.gov.it/content/comunicazione-sullutilizzo-degliantidepressivi-16052017
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Curatori della redazione per la RSS: Luca Poma, Matteo Bessone, Alberto Donzelli