La Psiconcologia è una disciplina, nata intorno agli anni settanta, in cui convergono e si coniugano, non sempre in modo armonico, due ambiti di studio che storicamente hanno avuto molto poco in comune, quali la medicina e la psicologia. Nella visione psiconcologica, l’ambiente non si limita infatti ad una continua influenza biologica sull’individuo, ma attraverso le esperienze passate, la rete relazionale, sociale e culturale viene a condizionare l’evento cancro, modificando anche l’omeostasi psichica dell’individuo, per il significato che la “malattia cancro” e la stessa “parola cancro” hanno assunto nella nostra società, al punto da influenzare la capacità di adattamento della persona alla neoplasia e la sua adesione alla terapia (Torta, 1997).
Nel corso del tempo la convivenza tra medicina e psicologia, nei luoghi di cura sia pubblici che privati, è andata certamente migliorando. A sancire una possibile collaborazione tra queste due discipline sono le recenti linee guida di Assistenza psico-sociale dei malati oncologici, stipulate nel 2016 tra AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e SIPO (Società Italiana di Psico-Oncologia). Nell’introduzione del documento si legge: “La diagnosi di tumore e le sue conseguenze possono avere un forte impatto negativo sulla vita dei malati e delle loro famiglie, ben oltre la vasta gamma di sintomi fisici sui quali generalmente si concentra l’attenzione di chi ha in cura i pazienti. La malattia infatti può influire su una vasta gamma di aspetti psicologici, emozionali, sociali e spirituali della salute. (…). L’assistenza psicosociale è ormai considerata una componente essenziale di un’assistenza oncologica ottimale: essa si pone l’obiettivo di alleviare il distress emozionale e di promuovere il benessere, pertanto è l’elemento chiave di qualsiasi strategia volta a migliorare la qualità della vita dei malati. (…) Ancora oggi, i bisogni psicosociali spesso non vengono rilevati e quindi non sono trattati in modo opportuno”.

Un’idea di modello bio-psico-sociale integrato (Engel, 1977)
Non è più un mistero per nessuno il fatto che il nostro Sistema Sanitario Nazionale, nonostante mantenga un primato di eccellenza mondiale, non sia più in grado di far fronte da solo alle esigenze dei singoli pazienti, in futuro potremmo imbatterci in una sempre più scarsa disponibilità di risorse ed è oggi il momento di prendere provvedimenti: agire in senso politico, collettivo e individuale.
Citando un articolo apparso su “Il Messaggero” il 21 Novembre 2019: “Il nostro sistema sanitario si posiziona al nono posto della classifica mondiale – dopo Islanda, Norvegia, Olanda, Lussemburgo, Australia, Finlandia, Svizzera e Svezia – per le sue elevate performance come testimoniato anche dallo stato di salute della popolazione, che resta buono nonostante gli stili di vita non sempre salubri e come certificato dall’aspettativa di vita alla nascita (all’ottavo posto nel mondo, 85,3 anni per le donne, 80,8 per gli uomini nel 2017). Le criticità tuttavia non mancano. dal 1990 ad oggi è aumentata gradualmente la spesa privata del cittadino per la salute, di pari passo a una riduzione del finanziamento pubblico alla salute, riduzione che, quindi, non è frutto di una aumentata efficienza del servizio sanitario (…) Tuttavia da questa analisi vediamo che le sfide per il futuro sono molte, dall’aumento del peso delle patologie dell’invecchiamento, alla rilevanza dei fattori di rischio comportamentali, alla riduzione delle risorse pubbliche per il Sistema Sanitario che ne mettono a repentaglio l’efficienza”.
Soltanto includendo la persona nel sistema ampio di cura diventa possibile rispondere ai bisogni assistenziali, al fine di garantire uno standard di qualità di vita degno e rispettoso. Per fare questo la medicina sta scendendo a patti con le altre sfere: psicologica e sociale. Reputo questo cambiamento di paradigma una presa di coscienza importante, se non addirittura un atto di umiltà insperato; non soltanto si sta andando verso un percorso di cura integrato ma addirittura condiviso, in cui diventa possibile dialogare e confrontarsi tra diversi sistemi di appartenenza.
Di necessità, virtù. Il mondo della Sanità si affaccia alla sfera del sociale, nel senso più ampio del termine, riconoscendo una cittadinanza attiva che può contribuire alla salute di tutti, specialmente attraverso il motore del volontariato con cui arriva oggi a stringere un patto di alleanza per unire le forze e portare avanti obiettivi comuni, per far fronte alla situazione di disagio individuale e collettivo causata dall’epidemia vera e propria della malattia cronica.
Dal Rapporto FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) sulla condizione assistenziale dei malati oncologici del 2016, si evince che: “La crisi economico-finanziaria ha riscritto i contenuti dell’assistenza necessaria e possibile, anche per i malati di cancro. La combinazione reattiva con i cambiamenti demografici, con la disgregazione del precedente modello di famiglia e con l’aumento esponenziale dei costi dell’innovazione tecnologica rende necessaria una nuova visione del welfare che si avvalga anche dei contributi di attori non istituzionali, ma capaci di rappresentare e interpretare la domanda di assistenza come le associazioni dei malati. Ai nuovi bisogni complessi non corrispondono, infatti, adeguate risposte. Il sistema sanitario è in sofferenza, schiacciato dalla contingenza e dall’improvvisato contenimento della spesa. È anche orfano di un progetto politico che ne attualizzi gli scopi e lo renda al passo con i tempi. L’associazionismo dei malati dovrà intervenire nella costruzione della nuova visione, ponendosi come stabile interlocutore al fianco di tutti gli attori coinvolti nel cambiamento. Il contributo del volontariato oncologico è pertanto centrale e strategico in ragione dell’elevato impatto economico e sociale del cancro, sia con riferimento alla fase acuta, sia con riferimento alla fase di riabilitazione ancora oggi sorprendentemente trascurata dal Servizio sanitario nazionale”.
Diventa importante sapere che esiste una figura di riferimento specializzata come lo Psiconcologo perchè di cancro non è più possibile non-parlare, così come del lutto e della morte cui abbiamo dedicato uno spazio di parola e condivisione di vissuti personali e professionali durante la nostra autoformazione. Oltre alla presa in carico strettamente individuale, il campo di azione dello psiconcologo può ampliarsi rivolgendosi a chi sta attorno alla persona ammalata di cancro: dalla famiglia alla cerchia amicale, e inoltre l’équipe dei curanti e i volontari delle associazioni di riferimento.
La malattia oncologica esiste e si sta diffondendo sempre di più, per tutta una serie di fattori ambientali, genetici, legati agli stili di vita. La buona notizia è che sta aumentando anche la sopravvivenza al cancro che, per quanto auspicata e da considerare ineccepibilmente come un traguardo, pone di fronte a questioni urgenti, ridefinisce il tempo della presa in carico del paziente, interroga sul chi e come deve garantire le cure al paziente cronico, una volta terminato l’iter ospedaliero. Poter parlare di malattia e di cancro fa parte della cura, soprattutto al fine di combattere la condizione di solitudine che affligge molte persone e in particolare chi riceve una diagnosi di malattia.
In ultimo sottolineiamo l’importanza del creare rete sul territorio, orientare e orientarsi rispetto alle risorse a cui attingere, anche nel marasma del web, per rendere accessibili le informazioni rispetto alle associazioni di volontariato e figure professionali specializzate nel campo oncologico (psicologi, nutrizionisti, medici specialisti, estetisti, trainer sportivi,e altri ancora).
BIBLIOGRAFIA
Torta, R. Musso, A. (1997). Psiconcologia. Torino, Il Centro Scientifico.
Engel G.L. (1977). The need for a new medical model: A Challange for biomedicine. Science, 196, 129-136.
https://www.favo.it/ottavo-rapporto.html
https://www.ilmessaggero.it/salute/storie/sanita_italiana_classifica_mondiale-4875732.html