Oltre le passioni tristi. Dalla solitudine contemporanea alla creazione condivisa
Miguel Benasayag, 2016
Benasayag si immerge nella situazione postmoderna alla ricerca di un soffio passionale che la psichiatria e psicologia contemporanea sembrano aver smarrito, comprensibilmente “prese” dall’emergenza epidemica delle nuove sofferenze mentali. E tuttavia se non ci si decentra rispetto alla prospettiva medico-emergenziale, si rischia di venire annichiliti dal senso di impotenza rispetto ad un’ impresa quanto mai impossibile: curare gli individui eliminandone i sintomi.
Benasayag propone al contrario una terapia situazionale, in cui entrambi il paziente e il terapeuta si impegnano nella ricerca non tanto di significati personali entro cui comprendere i sintomi, ma di ciò che sta “prima” e “tra“ gli individui, della situazione atmosferica (economica, sociale, culturale, relazionale, storico-epocale) in cui gli individui sono immersi. Si potrebbe dire che “la vita non è un fatto poi così personale” e in questo senso Benasayag tenta di allargare la messa a fuoco rispetto alla sofferenza mentale, restituendo una direzione, o meglio una posizione (anche politica), alle pratiche psi. “La conquista del terreno della sofferenza e dell’inquietudine da parte della patologizzazione della vita è diventata alla fine del XX secolo una delle principali cause dell’indebolimento degli individui e delle culture. Si tratta quindi di riconquistare il terreno della sofferenza esistenziale, ovvero delle faglie fondatrici e necessarie perché la potenza di agire possa esitere” (p.126).
Comprendere la sofferenza attraverso le cause, in un movimento dal fenomenico al fenomenologico, è prerequisito fondamentale per accedere a quella conoscenza di secondo genere descritta da Spinoza, senza la quale l’agire emancipatorio non è possibile. La sofferenza è infatti si un adattamento necessario, ma anche la custodia del possibile, una chiamata (poiché intrinsecamente relazionale) al cambiamento. Nella funzione rivoluzionaria della negatività possiamo però avere fiducia solo quando consideriamo l’umano come un corpo organico unitario che agisce, e non come un insieme modulare di meccanismi che reagiscono.
Ne deriva una terapia situazionale impegnata e interessata non a riparare guasti tecnici, ma a rivoluzionare il modo in cui le persone interagiscono con la situazione, accompagnandole attraverso quelle passioni, desideri, destini che ci rapiscono e inevitabilmente traboccano la vita personale.