Tobie Nathan, Nathalie Zajde, 2013
Questo libro offre un tempo per la riflessione. Siamo convinti che non si tratti soltanto di un’esigenza intellettuale, ma anche di una presa di posizione democratica. Non è possibile che, in pieno XXI secolo, una professione si svolga senza testimoni, senza controllo esterno, talvolta persino senza essere valutata, […]. Democrazia è, innanzitutto, esigenza di trasparenza, […] Abbiamo cercato di mantenere fede a due propositi: descrivere questo ambito e tracciare i contorni di una psicoterapia adeguata al mondo moderno, una psicoterapia così come noi la desideriamo, una psicoterapia democratica.
Gli autori, l’etnopsicanalista Tobie Nathan e il medico Nathalie Zajde, illustrano efficacemente in questa sorta di libro-manifesto i valori, le buone pratiche, le esperienze e i principi che secondo loro dovrebbero sostenere e ispirare la clinica e la psicoterapia, non soltanto in quanto ambiti specialistici relativi alla cura della sofferenza mentale, ma come paradigmi di pensiero e insiemi di pratiche che hanno strettamente a che fare con l’esercizio di un potere. Di fondamentale importanza risulta dunque un chiaro posizionamento, da parte della psicoterapia stessa, rispetto a come essa viene esercitata, in quanto “procedura d’influenzamento destinata a modificare radicalmente, profondamente e in maniera duratura una persona, una famiglia o una situazione, a partire da un’intenzione ‘terapeutica’”.
Nella prima parte del testo si viene proiettati tra le pieghe di un meta-discorso critico che ha per oggetto la psicoterapia nei suoi diversi risvolti legati al potere: le scuole e i percorsi di formazione degli allievi; il rapporto delle discipline psicologiche con i metodi di cura cosiddetti ‘tradizionali’ e con gli approcci biologico-scientifici alla salute mentale; la questione della valutazione delle psicoterapie; le associazioni di utenti. La seconda parte è invece dedicata all’esposizione di esperienze cliniche connesse al lavoro con migranti e vittime di tortura; una sezione che ben illustra l’effetto patogeno e traumatico di sistemi di potere basati sulla violenza e sulla privazione delle libertà fondamentali.
Un testo a nostro parere di grande interesse, estremamente onesto nel suo autosvelarsi: mostra il ‘dietro le quinte’ di un ambito disciplinare che, in assenza di una autentica e profonda auto-riflessione, rischia non soltanto di perdere preziose opportunità di crescita e confronto con un contesto umano e sociale in rapidissimo mutamento, ma anche di replicare e riproporre dinamiche di potere patogene.