di Franco Basaglia

Edizioni Di Comunità, 2018

Passando attraverso alcuni estratti dei lavori del famoso psichiatra veneziano, ci immergiamo immediatamente nel clima politico che ha caratterizzato la riforma psichiatrica alla fine degli anni ‘70. Basaglia parla chiaro: la psichiatria per molto tempo non è stata altro che uno strumento di oppressione, di controllo sociale, che ha incentivato la dipendenza del malato nei confronti del medico, e di conseguenza, il potere del medico nei confronti del malato.

L’istituzione psichiatrica può cominciare a trasformarsi, ad aprirsi, unicamente nel momento in cui si apre di fronte al malato, quando affronta non solo il matto, ma anche la socialità che lo circonda, che lo ha oppresso all’interno del manicomio. Basaglia, in effetti, racconta di come è stato possibile cominciare a ripensare le logiche del funzionamento istituzionale, già alla fine degli anni ‘60, quando da dentro il manicomio è emersa la volontà di lottare per l’espressione della soggettività del folle povero. A lui andava restituito il suo potere, e dunque la sua emancipazione, passando da un’oppressione ad una liberazione, per creare quella condizione di reciprocità tra psichiatra e paziente, necessaria per poter parlare di terapeuticità.

Si tratta di un libricino, sono poche pagine ma dense: ogni frase dello psichiatra invita ad una riflessione profonda. Per lui il rapporto uomo a uomo è determinante per la nostra vita sociale ed è solo in questo rapporto che si può trovare una soluzione altra, che va al di là della domanda sono malato?. È un libro consigliato a chi vuole avvicinarsi al pensiero di Basaglia partendo dalle sue parole e a chi crede che ci sia ancora bisogno di quella forza trasformatrice per continuare sulla lunga strada per l’inclusione al diverso, sia esso matto o straniero.

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