di Francesca Bubba, ed. Rizzoli (2023)

“Preparati a spingere” – Essere madri oggi di Francesca Bubba offre una lettura critica e politica della dimensione della maternità oggi. Il titolo, attraverso un gioco di parole, non vuole tanto mettere in luce le difficoltà legate al solo momento del parto, ma tutte le difficoltà che accompagnano la donna in Italia, rispetto al suo essere o non essere madre, al suo essere donna. Il testo sembra essere uno squarcio nella rappresentazione idealizzata, demonizzata o sacrificale ma comunque falsa (lontana dalla vita reale e quotidiana) della maternità. Ricamando con grande maestria un intreccio di questioni critiche sociali, passando anche dal personale, sottolinea quanto nelle pratiche culturali e istituzionali l’essere donna in Italia sia un processo patriarcalizzato, che si dispiega anche nella concretezza della quotidianità; la rete urbana per esempio diventa lo strumento attraverso cui il tempo e lo spazio smettono di essere contenitori per una donna diventando ostacoli per la serenità che un rapporto di cura, come quello madre-figli, richiede. Il saggio di Francesca Bubba toglie il velo alla versione romanticizzata e retorica della maternità “naturale”, intensiva e performativa, che sembra opprimere e delegittimare chi non vi si conforma, afferma infatti che il mito della maternità si poggia su diversi pilastri molto ben radicati nella società. Il più importante, forse, è la naturalità dell’esperienza materna. L’autrice propone numerosi esempi di come l’esperienza di diventare genitrice sia legata ad una dimensione di sacrificio amorevole. Di rinuncia di sé ma col sorriso sulle labbra “perché questo fa una madre”. Decostruendo tali rappresentazioni l’autrice restituisce a ogni persona che sia anche madre la possibilità di rivendicare la propria esperienza di maternità, qualunque essa sia, senza bisogno di chiedere scusa, permesso e di passare (o passarsi) al setaccio del giudizio. Bubba fa alle madri un doppio regalo nel rivendicare, da una parte la meraviglia del lavoro di cura, in un tempo storico che l’ha deprezzato e disprezzato, e dall’altro il diritto nonché il bisogno della rabbia. Sentimento perturbante, quest’ultimo, che la società continua a interdire alle donne, specie se madri; contraddicendo il principio transfemminista, movimento entro cui l’autrice si forma, per cui cura e rabbia, insieme, sono armi potenti per una rivoluzione necessaria. La rabbia, infatti, è l’energia vitale che accompagna il movimento di ogni donna e madre verso l’affermazione di Sé. Il cammino della consapevolezza rende possibile il ritorno al senso di responsabilità (come capacità a rispondere abilmente) ai propri bisogni e desideri. Ogni donna e madre ha il diritto di un’informazione ampia e puntuale su quanto vivono e sentono relativamente alla loro esperienza di madre, per poter compiere le proprie libere scelte. Come anche Bubba ricorda, ogni esperienza di maternità è unica e come tale è speciale di per sé. Guardare sempre con occhio critico ciò che viene narrato attorno all’esperienza della maternità riduce il rischio di lasciare vecchi dogmi per abbracciarne dei nuovi e di semplificare un’esperienza tanto unica quanto complessa. In conclusione, potrebbe essere utile scardinare una visione della maternità come un qualcosa di “naturale”, in cui le cose debbano essere fatte necessariamente seguendo dei canovacci ben precisi, per volgere lo sguardo ad un dimensione più “culturale”, in cui sono i contesti, i ruoli e le interazioni che di volta in volta generano e mantengono le aspettative che poi hanno ricadute percepite come “reali” sulle protagoniste. Abbracciando questa visione nulla può essere affermato in senso assoluto, ma ogni considerazione e azione diventa relativa e può essere agita solo in virtù di uno scambio interattivo tra coloro che portano un bambino in grembo e le persone che, di volta in volta, si relazionano ad esse.

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