di Laurent de Sutter, ed. Ombre Corte, 2018
Il folgorante libro di Laurent de Sutter, “Narcocapitalismo”, analizza il modo in cui i due poli opposti di un continuum – anestesia ed eccitazione, due concetti mai abbastanza considerati nell’esplorazione filosofico/politica dell’agire sociale – influenzano fortemente il modo stesso di stare insieme dell’essere umano, e di conseguenza il modo in cui questa conoscenza viene usata in quel contesto di pratiche che Foucault ha chiamato “biopolitica”. Partendo da un’analisi storica, dalla nascita degli anestetici con il brevetto del 1846 alla contemporanea diffusione della cocaina, l’autore ci mostra come progressivamente non si tratti più di un’anestesia nel senso chirurgico del termine, ma di un’operazione molto più profonda: un’anestesia nel senso di rimozione del rapporto di un soggetto con le proprie sensazioni, che cambia quindi radicalmente il modo in cui un l’individuo percepisce sé stesso e agisce nel mondo.
“Il giorno in cui Morton e Jackson depositarono la loro domanda di brevetto per la tecnica di assistenza chirurgica che avevano scoperto, compirono un’azione di cui non si poteva immaginare l’importanza: ponevano le basi di una nuova concezione del soggetto” (de Sutter, p.103). È così che parte il viaggio di de Sutter, che si allarga poi a tutti gli ambiti che caratterizzano quella che consideriamo “vita”: dal lavoro al divertimento, dalla veglia al sonno, dal dolore alla felicità, tutto è gestibile, e sempre di più gestito, grazie a principi attivi e sostanze chimiche.
Progressivamente il successo della molecola stava modificando il pensiero, ci si stava abituando all’idea che l’obiettivo fosse sostituire la sofferenza con l’indifferenza, il soggetto in mera materia. L’ultima chiave di lettura che l’autore propone è infatti quella più politica, che emerge passando dalla medicina alla psichiatria, dalla psichiatria alla psicologia e infine alla società in generale: “nello stesso periodo, nel lessico politico e popolare compariva una parola, una parola che serviva a indicare quelle che si finì per chiamare “folle”: la parola “masse”. Non era una coincidenza; dietro la trasformazione del soggetto in materia, qualcosa cercava di svilupparsi. Era necessario che le folle diventassero materia affinché ci si potesse dimenticare che avevano un’anima.” (de Sutter, p.104)