di Achille Mbembe
Ed. Meltemi 2018
“Non tutti i crimini producono oggetti sacri. Nella storia è capitato che alcuni crimini producessero solo infamia ed empietà [..] l’impossibilità di “fare comunità” e di ripercorrere le vie dell’umanità”.
È passato poco più di mezzo secolo, ci racconta Achille Mbembe, da quando la maggior parte dell’umanità viveva sotto il giogo coloniale. Da allora, le conseguenze in termini di complessità, ingiustizie e disugaglianze, ma anche di imprevedibili nuove forme di costruzione sociale, hanno subito sorti alterne nello sviluppo del pensiero storico, filosofico e politico: negazione, oblio, estremizzazione, glorificazione, nostalgia, senza mai riuscire a liberarsi del grande implicito di fondo, quello della razza.
Partendo da Fanon e Said, passando per Foucault, Derrida, Arendt, l’autore ci offre una bussola per orientarci nel moderno mondo post-coloniale, sostenendo l’imprescindibile necessità di avviare processi di decolonizzazione non solo nelle società colonizzate, ma anche in quelle colonizzatrici, per superare una concezione di umanità divisa secondo la strisciante e odiosa categoria della razza, oggi quanto mai riscoperta in un’Europa squassata dall’identitarismo.
Mbembe riprende il concetto di “necropolitica”, mutuato dalla biopolitica di Foucault e già espresso in un saggio precedente ad esso dedicato, per indicare quelle politiche che, in Occidente come nelle ex colonie, vengono inscritte sui corpi feriti e vilipesi dell’umanità assoggettata per costruire forme di potere basate su specifici rituali che contribuiscono a mantenere lo status quo.
Sostiene quindi la necessità di creare nuove forme di convivenza umana basate sul riconoscimento e la valorizzazione delle differenze, sull’accettazione e l’elaborazione della Storia condivisa, anche nei suoi episodi più turpi, rinunciando all’assoluzione come alla vendetta, secondo una matura presa di responsabilità.
Lo scopo è quello di arrivare ad una società universalistica, in cui ogni comunità trovi spazio in un fluido scambio di contaminazione con l’esterno, realizzando quello che Mbembe chiama “afropolitismo”, una società plurale e in continua trasformazione, basata su transito, circolazione e apertura al cambiamento, che si lascia trascinare dalle correnti spontanee delle culture. Del resto, “un’Europa ripiegata su se stessa non interessa a nessuno”.